Maria Bonvecchiato: la giovane vedova ingannatrice

È il 29 maggio del 1930 e da poco sono passate le 15,00, quando due giovani donne si siedono al tavolino della pasticceria Samara, sita ad angolo tra via Orefici e via Cantù a Milano, ed ordinano due rabarbari. Una delle due, preferirebbe un gelato, ma l’altra la convince a tenerle compagnia nella scelta. Scambiano amabilmente quattro chiacchiere, quando Elisa, dama di compagnia, si alza e si dirige verso via Orefici mentre l’altra, Maria, sua datrice di lavoro, ancora al tavolo, estrae dalla borsetta una cartina e ne versa il contenuto nel bicchiere dell’altra. La cosa non stupisce affatto il cameriere che le ha servite e che già da un po’ le osserva, perché all’epoca in molti erano soliti utilizzare bicarbonato ed altri digestivi acquistati in farmacia, per poi scioglierli nelle bevande. Al ritorno, la ragazza reca tra le mani una marca da bollo, e chiesta in prestito una stilografica ad un signore che siede loro accanto, incominciano a scrivere.

Trascorre un’ora e così le amiche, perché tali appaiono nel loro socievole ciarlare, pagano il conto e vanno via, ma il cameriere, Egidio Civardi, appena le signore si allontanano, si accorge che in uno dei bicchieri c’è un residuo denso e chiaro. Le due donne sono rispettivamente Maria Bonvecchiato assassina, ed Elisa Merclin sua vittima.

La faccenda è davvero molto strana e per quanto Egidio sia un tipo riservato, non esita, appena viene data la notizia di una giovane che è morta avvelenata, a recarsi in commissariato per raccontare tutto. “Quella donna ha versato qualcosa nel liquore, ne sono certo. Ho conservato il bicchiere”. L’uomo non sa di avere fermato con la sua testimonianza una duplice assassina.

La Bonvecchiato nasce nel 1900 a Noale in provincia di Venezia, in una famiglia relativamente agiata, in quanto il padre è proprietario di un forno, mentre la madre casalinga si occupa dei quattro figli. Schiva e solitaria, Maria non ama la compagnia dei coetanei preferendo a loro la lettura, e rinunciando persino ai giochi. Trascorrono alcuni anni, ed alla fine della prima guerra mondiale alla signora Bonvecchiato viene fatta una bizzarra proposta: una cugina austriaca, una certa Matilde Grundel che ha sempre desiderato visitare l’Italia, le offre uno scambio, ovvero di ospitare uno dei suoi membri di famiglia se a loro volta le ricambieranno la cortesia. La scelta di chi sarà a recarsi in Austria ricade su Maria. La permanenza nella casa della parente d’oltralpe sarebbe dovuta essere breve, ma qui la ragazza incontra Franz Grundel, un 27enne che di professione fa il decoratore, con velleità da artista. Quella che al giovane appare come l’inizio di una bella storia d’amore, in realtà per la ragazza rappresenta una semplice proposta d’affari, perché desiderando abbandonare la casa paterna, chiede a Franz di sposarla, così da poter girare un po’ il mondo e dopo un anno divorziare. L’idea fonda anche sulla consistenza economica della sua dote, in quanto promette al futuro marito un vitalizio, così da garantirgli una serena “esistenza”. Il patto è fatto; Franz accetta, e a marzo del 1925 i due convolano a nozze in Italia. Non c’è però matrimonio che si rispetti, per quanto fittizio, senza viaggio, e così, la prima tappa è a Milano, dove i novelli sposi vengono accolti alla stazione, tra fiori ed abbracci, dalle sorelle di Grundel, che si spaventano moltissimo appena scorgono il fratello, che è pallido come un cadavere e si contorce a causa di fortissimi dolori all’addome. Con una carrozza si recano tutti in albergo, dove le sofferenze aumentano e Franz sta sempre peggio. A malapena riesce a bere un po’ di brodo dal sapore amarissimo, poiché la moglie vi ha aggiunto una misteriosa polverina; sostanza che Maria, viste le pressanti domande delle cognate, spiega essere un astringente. Viene allora chiamato un medico, che dopo aver constatato il gravissimo stato in cui versa il paziente, né ordina l’immediato ricoveroMaria non è d’accordo. Il suggerimento del dottore le pare eccessivo, continuando a ripetere che quello del marito è semplicemente un malessere passeggero, fino a quando, cede alle insistenze delle sorelle del giovane, e accetta l’idea della degenza, ma solo se in una clinica privata, non in un pubblico ospedale.

Il giorno successivo, il 10 marzo 1925 alle 13,30 Franz muore. La diagnosi è molto semplice: il decesso è dovuto a mal di gola complicato da forme cardiache.

Trascorrono 5 anni e nulla si sa di Maria, fino a quando compare un annuncio sul Corriere della Sera che recita: “Signora trentenne sola, cerca signorina indipendente per compagnia, viaggio e casa”. Siamo negli anni ‘30 e dunque la donna non può assolutamente, per i costumi di allora, ricercare la compagnia di un uomo.

Nel maggio, la giovane incontra la 33enne Elisa, che fa la cameriera da 4 anni presso una prestigiosa famiglia milanese. Questa è ormai stanca di stare a servizio, e così le argomentazioni della Bonvecchiato, che le racconta di essere a sua volta stufa di rimanere in casa con la madre e la sorella, rappresentano per lei la reale possibilità di riscattarsi da una condizione di servitù, per dipiù Maria le prospetta ilprogetto di girare il mondo in maniera assolutamente gratuita, perché sarà lei ad occuparsi di tutte le spese.

L’idea solletica non poco la ragazza, che si reca dai suoi datori di lavoro e si licenzia, informandoli anche che la nuova signora presso cui lavorerà, le ha proposto di sottoscrivere vicendevolmente una polizza assicurativa sulla vita, cosa che non desta il minimo sospetto in Elisa, in quanto “insieme” avrebbero vissuto e condiviso tante nuove avventure.

Il 29 di maggio, le due si recano all’istituto assicurativo e così le polizze vengono sottoscritte.

Tutto sembra procedere secondo i piani di Maria ed i sogni di Elisa, ed addirittura si ventila la possibilità che la prima tappa del viaggio possa essere Parigi, con gli Champs-Elysées, la Tour Eiffel e tutte le meraviglie che quell’avventura avrebbe avuto da offrire a due giovani donne libere, ed economicamente indipendenti. Ma c’è un ultimo adempimento di cui occuparsi, ovvero il passaporto, e così, quando sono al bar, Maria “spedisce” Elisa a comprare una marca da bollo, mentre lei si cura di versarle della polvere nel rabarbaro. Al suo ritorno la ragazza trova alquanto amara la bevanda, ma è talmente felice da non darci peso.

Dopo le 16,00, le future compagne di viaggio si salutano, e solo mezz’ora più tardi, la polvere incomincia a sortire l’effetto voluto. Elisa sul tram inizia a contorcersi dal dolore. Cinque anni prima con le stesse modalità la Bonvecchiato ha avvelenato Franz. Mentre in ambulanza la giovane viene condotta in ospedale, continua a sostenere di essere stata avvelenata,  luogo dove morirà il giorno seguente. Stavolta però, i medici non rilevano alcun mal di gola con complicanze cardiache e seguendo la pista indicata dalla donna, la polizia si reca a casa di Maria, dove trova sufficienti indizi, tra cui un po’ di arsenico. Tradotta in carcere, l’assassina viene processata, ma per un solo omicidio, perché non si riesce ad imputarle anche la morte del marito. Determinante per provare la sua colpevolezza è la testimonianza del cameriere Egidio Civardi, testimonianza che chiaramente affianca il sospetto di Elisa di essere stata avvelenata. Gli esami tossicologici dell’epoca non sono sicuramente raffinati come oggi e senza il racconto del cameriere Maria l’avrebbe fatta franca. Per quanto non sia stato possibile provare la sua colpevolezza anche per il primo omicidio, la donna viene condannata all’ergastolo.

Finisce così la storia, dove per una vita stroncata, la pena è a vita; ma Elisa non era solo materia che respira, ma sogni infranti, desideri inappagati, fiducia tradita. Nei suoi ultimi istanti, tra i dolori lancinanti, quanto più amara deve essere stato conoscere il proprio aguzzino che le aveva, anche se solo per pochi istanti, fatto intravedere il paradiso.

Fonte foto: Keblog.it

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